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DONNE E LAVORO
 

Le storie che leggerai di seguito ti faranno capire le fatiche, le sofferenze, ma anche la forza che molte donne lavoratrici hanno rispetto ad ambienti di lavoro ostili, discriminatori e violenti. 

Per queste ragioni ci proponiamo di rendere consapevoli le persone che possono vivere nella loro esperienza lavorativa forme diverse di violenza. Questo obiettivo intendiamo raggiungerlo anche attraverso momenti d’informazione e sensibilizzazione sul tema, coinvolgendo persone esperte nel settore, attraverso diversi tipi di divulgazione, sia online che in presenza. Intendiamo inoltre fornire a tutte le organizzazioni di lavoro che desiderano migliorare il proprio benessere organizzativo sui temi riguardante la violenza di genere e le varie forme di discriminazione.

FAI SENTIRE LA TUA VOCE

In questa sezione troverai alcune storie vere di donne che raccontano la propria esperienza di violenza subita. 

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Fonte:
"Ti racconto la mia" Il fatto quotidiano 

MARIA LAURA

Maria Laura è una mamma precaria e ha tre figli. Lavora in ospedale e una mattina all’alba viene bloccata tra il muro e la fotocopiatrice da un collega. Quando scrive, ricorda le mani sul collo e la lingua che cercava di entrare nella sua bocca serrata. Lo ha detto a qualcuno, ma poi ha pensato ai bambini che l’aspettavano a casa e alle bollette da pagare, quelle sì inevitabili

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"Se sei carina con il capo ti compra la casa e non dovrai più pagare l’affitto. Se ti comporti bene, se fai compagnia al tuo dirigente, ti fa il contratto a tempo indeterminato. Se vai a letto con il responsabile d’area, il tuo periodo di prova sarà prorogato.

La mia condizione di mamma sola con tre figli e precaria ha fatto credere agli uomini di potermi molestare come volevano".

CATERINA

Caterina è tra quelle che hanno trovato la forza di denunciare. Ricorda le mani sul seno e sul sedere ogni giorno in ufficio, ad ogni occasione buona. Ricorda che ha avuto bisogno della sua famiglia per riuscire a reagire. 

"Pensavo fosse colpa mia.Poi la solitudine. Tanta e sempre più profonda. Come quella di chi accetta in azienda le battute, ogni volta più pesanti delle altre. “Ti piace scopare eh?”, dice il capo alla neoassunta mentre pulisce la sala ricevimenti con la scopa. Oppure “ma che bella posizione, la mia preferita”, sussurrato alla segretaria che studia le pratiche chinata sulla scrivania. 

Lo sfogo di Caterina è molto personale. Racconta le dinamiche della violenza psicologica di un superiore da cui, grazie al sostegno di un fidanzato e della famiglia è riuscita a sfuggire. Vittima sul luogo di lavoro.

“Vorrei rimanere anonima, sia perché c’è una causa in corso, sia perché ho paura che lui mi faccia del male”, scrive. “Per anni ho subito abusi psicologici e molestie all’interno dell’azienda percui lavoravo. A poco a poco mi sono spenta, ho perso interesse per la vita e mi sono ammalata. Fino a quando non ho trovato il coraggio di parlarne a casa e con l’aiuto della mia famiglia e del mio compagno sono riuscita ad andare via da quella prigione. È stato un processo lungo e dolorosissimo. Io non volevo più vivere, mi sentivo annientata, pensavo fosse colpa mia, pensavo di non valere nulla. Grazie all’aiuto di una psicologa piano piano sto tornando a vivere. Ma non mi sono mai sentita così sola ed indifesa. Lui ha pensato bene di diffamarmi per fare in modo che rimanessi isolata e senza lavoro. Ora lo incontro per strada e mi fissa con uno sguardo di sfida che mi fa gelare il cuore e mi chiude lo stomaco. I pregiudizi sull’argomento sono così radicati che sono io ad essere stata isolata e non lui. Io non parlo mai di quello che mi è successo, perché spesso viene usato contro di me. Non voglio essere tutta la vita una vittima. Voglio tornare ad essere una donna“. Caterina parla di violenze subite che in un primo momento si illuse fossero casuali.

“Nel concreto, ricordo ancora le sue mani sul mio sedere e sui miei seni. Le prime volte come fosse una casualità, poi sempre più insistenti al punto che evitavo di restare in ufficio da sola con lui. Ricordo che in un momento di rabbia ha preso la mia collega per un braccio strattonandola e facendole male. E io non ho saputo difenderla. E poi ricordo una ad una le umiliazioni a cui sono stata sottoposta. La violenza psicologica è più subdola di quella fisica perché non la riconosci subito e piano piano fiacca la tua volontà e alle umiliazioni ti abitui come fossero una componente normale del lavoro”.

CARLA

Carla era la più promettente dell’ufficio. Il capo l’ha notata subito: l’ha stimolata, sostenuta e l’ha fatta salire di grado velocemente. Poi un giorno, erano in macchina e le ha messo la mano sulla coscia. Lei ricorda di aver smesso di respirare, ma soprattutto il senso di schifo per sé stessa, come se ogni successo ottenuto non avesse più nessun valore.

Carla racconta di un momento preciso in cui la situazione le è sfuggita di mano. Di quando si è sentita intrappolata da un capo che la faceva sentire succube, come se non avesse altra scelta che accettare attenzioni e pressioni che la mettevano sempre meno a suo agio. “Ancor più difficile”, esordisce, “è quando l’abuso nasce a seguito di un rapporto di stima e fiducia. A me è successo, con il mio ex-capo, che dopo un paio di anni di normali rapporti lavorativi, ha iniziato ad avere uno strano atteggiamento, più confidenziale. Scherzava, mi coinvolgeva sui progetti, proponeva pause pranzo insieme. Finché non è arrivata una mano sulla coscia, all’improvviso, mentre guidavo. Mi ha scioccata, irrigidita. Avevo 25 anni e non sapevo come reagire. Ho fatto finta di niente ma poi le cose sono peggiorate e la libertà di alcuni gesti fuori luogo ha preso il sopravvento e non la ho saputa arginare. Non ho saputo reagire e mi sono sottomessa a questa situazione. Per sopravvivere, a un certo punto, ho pensato fosse ‘normale’, che avesse ragione lui. Nonostante i suoi figli, nonostante sua moglie lavorasse con noi. Mi sono fatta andar bene questa follia e ho iniziato ad integrarla nella mia realtà. A lavoro hanno iniziato a farmi terra bruciata intorno altri capi e colleghi, mi hanno iniziata ad additare come l’ambigua e ho iniziato a stare molto male, nonostante risultati professionali eccellenti e una brillante carriera. Ci ho messo tre anni di terapia e il mio lavoro (che alla fine ho lasciato, un contratto a tempo indeterminato) a capire che ero diventata completamente dipendente dal mio ‘aguzzino’. Da una persona che si era approfittata della sua posizione (e di una notevole differenza di età) e della mia fiducia. Proprio come succede con la sindrome di Stoccolma. Io che sono indipendente, forte, sicura di me e mi ritengo una donna libera. Solo adesso, che ho avuto il coraggio e la forza di voltare pagina, so quanto fossi succube e dipendente. Per questo motivo, sostengo tutte le donne che hanno subito abusi: perché spesso, anche nella situazione più ovvia, non si ha la forza di reagire per tanti motivi.

Uno di questi, e forse il più vigliacco perché il più difficile da identificare, è la dipendenza psicologica che ti consuma, a mano a mano, come una droga”.

ANGELA

Angela era in prova da qualche mese quando il capo le ha chiesto prima di uscire e poi di salire in casa con lui. Ha detto due sì e si è fermata al terzo: non voleva avere rapporti sessuali con il suo superiore. Il lavoro non lo ha mai avuto.

CARLOTTA

Carlotta è stata per mesi la dama di compagnia del suo capo: sognava un contratto fisso e per questo ha accettato tutto, come se dal suo benessere con me dipendesse il mio futuro. Non è mai stata assunta. E al colloquio successivo per un’azienda il responsabile le ha chiesto di chinarsi e simulare di raccogliere una monetina: lo ha fatto, presa dall’imbarazzo e dall’ansia di chi ha bisogno di uno stipendio a fine mese. Se ne è vergognata per anni.

ARIANNA

Arianna faceva l’attrice e ha lasciato l’Italia dopo che, per l’ennesima volta, un produttore l’ha accolta nell’ufficio facendole vedere quanto era eccitato il suo pene.

MARIA

Maria è una giornalista di successo. Il suo caporedattore un giorno, mentre discutevano della posizione da dare a una notizia, le ha messo la mano sui suoi genitali per darle un esempio concreto di quanto spazio avrebbe voluto darle.

ALICE

Alice invece non ha mai dato l’esame di latino all’università: il professore le ha detto che se avesse voluto le domande, avrebbe dovuto andare in albergo da lui a fare uno spogliarello.

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Se anche tu hai una storia da condividere con noi, siamo in ascolto.

Puoi scrivere anche in forma anonima.

 

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Sono un milione e 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Rappresentano l’8,9% delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione.

 

(Fonte Istat 2018)

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